Cronache di Bombay: il rickshaw che non voleva usare il tassametro
Rickshaw croce e delizia! Devo raccontarvi cosa mi è successo di recente.
Lascio Goa col magone a fine Aprile contando di tornare il prima possibile, in verità ho dovuto attendere tre mesi prima di potermi muovere di nuovo.
In mezzo si è pure inserita la nuova regola delle impronte digitali in Ambasciata che, ovviamente, se non abiti a Roma, allunga i tempi.
Sono arrivata dopo un viaggio interminabile a causa di ritardi della Turkish Airline, durato due giorni ma nella sfiga ho avuto modo di prendere un taxi e fare un giro in centro ad Istambul che è bellissima e dove conto di tornare con calma.
Classico spostamento dove va tutto storto, ma tu cerchi comunque di tirare fuori qualcosa di positivo. E quindi sono grata del fatto che non mi abbiano perso il bagaglio per esempio, o che la fila all’immigrazione sia durata cinque minuti, cinque.

Istambul – Fatih
Benvenuti a Bombay ed iniziano di nuovo le difficoltà.
Passo il controllo passaporti, attraverso il Duty Free alle spalle degli addetti all’immigrazione e mi dirigo allo stand Airtel per ricaricare la sim. L’impiegato mi vede uscire dalla zona internazionale e sostiene che non posso farlo. Lo spiazza il fatto che io abbia già una sim indiana ed impiego dieci minuti a convincerlo. Si ammutolisce quando ricevo l’sms di ricarica avvenuta, la sim è di Ivan quindi in teoria dovrebbe durare per sempre.
Il mio problema principale adesso è quello di comprare un biglietto per Goa, dato che ho perso quello del giorno prima ed il wifi dell’albergo ad Istambul era pessimo. Non riuscivo nemmeno a visualizzare la disponibilità dei voli. Sono riuscita però a cancellare il biglietto che avevo fatto con Spice Jet e, udite udite, dopo una settimana mi hanno riaccreditato sulla carta l’importo della tariffa tasse escluse.
Sono le 5.30 del mattino, il bus per i voli domestici non si vede e decido di prendere un rickshaw. Cosa che faccio sempre dato che costa tra le 100 e le 130 rupie, meno di due euro. Mi infilo attraverso il corridoio che porta giù, si trova tra Starbucks e gli ascensori. Una lunghissima fila di rickshaws attende clienti, è ancora buio, salgo sul primo disponibile, fiduciosa.
Ma non so ancora cosa mi aspetta.
Il ragazzo è giovane, sveglio e parla inglese, quindi cercherà di truffarmi. Lo so, li conosco bene. Partiamo e non aziona il tassametro. Gli chiedo di azionarlo, mi risponde con un “no problem” e nemmeno lo tocca. Gli chiedo di fermarsi, voglio scendere ma lui di nuovo mi dice no problem Ma’am, paghi quanto vuoi. Ok, ti darò 100 rupie, rassegnati.
E’ piuttosto raro che a Bombay chi guida un rickshaw non voglia usare il tassametro e che capisca bene l’Inglese, quindi tutti i miei sensi sono all’erta e controllo il percorso. Andheri, bene ci sta. Andheri è un quartierone popolare vicino l’aeroporto con un centro commerciale pieno di ristoranti molto frequentato, ed alberghi di lusso per chi è in sosta d’affari o in transito veloce. E’ tagliato in due da un ponte sotto il quale staziona durante la notte una quantità impressionante di esseri umani senza dimora. Ed è anche la strada per il Terminal dei voli domestici.
E che fa l’autista del rickshaw? Si ferma tra corpi umani, un chai shop, una misera e minuscola agenzia di viaggi, chiama qualcuno e mi chiede 300 rupie. Immagino l’intento sia di terrorizzarmi e ci riesce. Raccolgo le quattro parole in Hindi che so e gli chiedo di andare e che gliene darò solo 100, il prezzo standard. Tra i presenti qualcuno sorride, anzi ride per il mio Hindi, non se l’aspettavano. Anche Ivan ride, dice che è sgrammaticato ma io non credo che lì, sul quel marciapiede, facciano caso alla mia grammatica. Oddio, meno male che non è capitato a Delhi. Un uomo ferma un altro rickshaw, nel frattempo trascino le mie cose fuori dal mezzo. Mi guardano tutti e realizzo che potrebbero derubarmi in trenta secondi.
Tento di nuovo una mini conversazione, i due autisti litigano e non capisco nulla, la solita folla curiosa di indiani segue muovendo la testa. Qualcuno sposta la valigia più pesante sull’altro rickshaw, mi chiedono 120 rupie, rispondo in Hindi che va bene e li ringrazio. Sorridono tutti. L’altro autista si scusa e mi porta sana e salva a destinazione. Nel frattempo è l’alba ed inizia a spuntare il sole.
Lo so che l’India mi ama, anche l’addetto ai controlli di immigrazione, dopo avere aperto il passaporto e notato i numerosi visti ha esclamato sorridendo “Welcome back Miss Alessandra”! Ma restare da sola al buio sotto il ponte di Andheri è abbastanza sconcertante. Ancora più sconcertante è il fatto che io dimentichi sempre quanto l’India possa regolarmente stupirti e per uno che voleva fregarmi, altri dieci mi hanno aiutato. Con questo non voglio dire che sia sempre sicura, ma che in pochi girano la testa e fanno finta di non vedere, sono troppo curiosi per girare alla larga.
Ho poi comprato un biglietto per Goa con il primo volo disponibile che purtroppo era alle 11.30, pagandolo una cifra spropositata e dovendo aggiungere anche 10 kg di eccedenza bagaglio oltre i 15 consentiti dalle low cost. L’unica compagnia aerea che consente di portare fino a 25 kg è l’Air India ma il primo volo era nel pomeriggio ed il biglietto costava più di 200 euro. Mille grazie Turkish Airline.
La mia amica Navita ha mandato un driver a prendermi: “Bentornata a Goa Madam”.