Chandor, ovvero com’era la Goa portoghese in passato.
Chandor è un delizioso piccolo villaggio a pochi chilometri da Margao, immerso nella giungla tropicale, circondato da belle ville coloniali ed attraversato dal fiume Kushavati.
Ne avevo letto sulle guide perché è sede della più grande dimora portoghese di Goa, la Menezes Braganza Pereira House, ed ero molto curiosa di visitarla. Di certo non mi aspettavo di veder circolare Jaguar e BMW lungo le quattro strade che partono dalla chiesa principale perché è un villaggio dall’aspetto semplice con i tipici negozi e bar di tutti i villaggi indiani.
E’ vero, addentrandosi si scoprono bellissime ville ma questo di solito a Goa non vuol dire nulla. Sono case ereditate, costosissime da mantenere e spesso chi ci abita non interviene come dovrebbe perché non può. Proprio per questo motivo alcune di queste case sono aperte al pubblico e si possono visitare facendo una piccola donazione ai proprietari.
Chandor, nota in passato come Chandrapur, è stata la capitale della dinastia Kadamba che dominò Goa dal VI all’XI secolo d.C. e che dovette abbandonare Old Goa per trasferirsi qui a seguito dell’invasione musulmana. Per poi subire quella Portoghese, con relativa distruzione di tutti i templi induisti.
A Chandor è però possibile ancora visitare i resti di un tempio e di una statua senza testa di un Nandi Bull, il toro che Shiva usava per spostarsi. C’è un piccolo sito archeologico proprio nel villaggio, non lontano dalla chiesa di Our Lady of Bethlehem, ed un forte arrampicato sulla collina del quale resta ben poco.
Per non farci mancare nulla, pare che gli abitanti abbiano addosso una maledizione. Si narra che quando i Portoghesi attaccarono Chandrapur, nessuno intervenne per difendere il re Harihar che venne ucciso. La regina, in preda al dolore e prima di suicidarsi, posò i suoi piedi su una pietra vicino al tempio e maledisse il villaggio. Da quel momento in poi tutte le donne sarebbero rimaste vedove. Le famiglie smisero di dare le loro figlie in sposa ed il villaggio si decimò.
Attraversare Chandor da una punta all’altra regala l’idea di una Goa coloniale così come avviene se si percorrono le isole Divar e Chorao sul fiume Mandovì. Belle ville nascoste dalla vegetazione, scenici ponticelli sul fiume ed un’antica linea ferrata che la taglia in due. Quasi assenti i turisti che vengono giusto per visitare la Braganza Pereira House e ripartono. Ma a questo proposito, vi racconto la mia esperienza.
Menezes Braganza Pereira House.
Appena si arriva al villaggio, provenendo da Ponda, vi troverete davanti la chiesa madre, o Our Lady of Bethlehem. Svoltate a sinistra e dopo duecento metri ve la ritroverete alla vostra sinistra. La dimora è veramente gigantesca, sembra non finire mai. E’ una casa del XVII secolo che è stata ampliata poi più di due secoli fa. La facciata però pare che non sia mai stata restaurata ma poco importa, ha un fascino enorme.
La cosa che non è immediatamente chiara è che è divisa in due e abitata da due famiglie imparentate tra loro ma evidentemente in lite. Appena parcheggiato lo scooter, un gentilissimo signore si è precipitato ad accoglierci e ci ha portato al primo piano aprendo l’ala sinistra della dimora, guardando l’ingresso. Il signor Pereira Braganza. Contemporaneamente si è aperta la porta dell’ala destra ed un’anziana e gentile signora ci ha chiesto di suonare il campanello al termine della visita dell’ala Pereira per completare il tour.
Nel frattempo il signor Pereira è corso giù ad accogliere altri quattro ospiti arrivati in taxi, due americani e toh, due ragazzi toscani.
Iniziamo il tour ed è un susseguirsi di saloni, sale da ballo, sale da pranzo con pavimenti originali in marmo di Carrara, lampadari provenienti dal Belgio, sedie del XVIII secolo, pianoforti con quattro secoli di storia alle spalle e decine di oggetti di stampo cinese provenienti da Macao. Nella stanza degli ospiti è conservato in ottimo stato un gabinetto in legno del quale ci spiega l’uso: sotto al buco veniva messo un catino che poi veniva svuotato e ripulito. Per un attimo ho pensato alla storica toilette con il maiale, ma quella mi sa che era solo per i poveri.
Il signor Pereira possiede la prima biblioteca privata di Goa, un frigorifero di prima generazione che funziona a gas, e si sente, ed una serie di palanchini antichissimi poggiati lungo un ballatoio laterale. Oltre ad una cappella privata con le unghie di Saint Francis Xavier, nella casa abitano tutt’ora quattro generazioni di Pereira. Scatto un selfie con Ivan davanti allo specchio gigantesco della sala da ballo e mi avvio all’uscita. E’ previsto un contributo minimo di 150 rupie a persona, circa due euro. Vi garantisco che ne vale la pena, è un pezzo di storia coloniale ed è estremamente interessante.
Esco, suono il campanello, ci fanno accomodare perché la padrona di casa è impegnata con altri ospiti. Appena si libera si presenta come Judith Menezes Braganza e ci dice subito che è vietato fare fotografie. La casa è in eccellenti condizioni, con bellissime porte a vetri e finestre oscurate da sottili strati di conchiglie. La sala da pranzo ha tre tavoli per le riunioni politiche composte da cattolici, induisti e musulmani. Questo consentiva diversi tipi di cibo per appartenenza religiosa.
Il letto a baldacchino di Judith è così alto che serve una piccola scala a due gradini per salirci. Alcuni oggetti d’ambra provenienti da Macao, esposti al sole si illuminano di un rosso così intenso da farmi chiedere che ambra è quella che usano adesso.
Un piccolo salotto in pietra colorata è esposto nel giardino e si può ammirare da uno dei balconi della casa. E’ stato realizzato da Antoni Gaudì, il famoso architetto spagnolo. Ho fatto una foto e sono stata ripresa.
Le porcellane cinesi datate quattro secoli fa sono dei veri e propri capolavori, credo che il valore degli oggetti contenuti nelle due case sia incalcolabile. Ma purtroppo servono tanti soldi per mantenerle, soldi che non hanno. Il governo locale non intende finanziare così si sono inventati le visite al pubblico e l’affitto delle sale da pranzo per eventi particolari. Con l’unica condizione che il catering provenga da alberghi a cinque stelle per mantenere uno standard altissimo.
Anche la signora Judith ci chiede un contributo, questa volta però non richiede una cifra minima e ci regoliamo come per casa Pereira.
La dimora è aperta alle visite dal lunedì al sabato dalle 10 del mattino alle 5 del pomeriggio.
Dove mangiare.
E’ ora di pranzo, ci perdiamo per le stradine ma nessun posto attira la nostra attenzione. A nord della chiesa centrale, una lunga strada attraversa la ferrovia e subito dopo, sulla sinistra, notiamo un ristorante locale che pare decente. Poppy’s fast food, si chiama come il mio cane di Anjuna, quindi andrà bene. Appena ci sediamo, il proprietario arriva con il menu e senza nemmeno guardarlo gli chiedo se ha Urak. Sgrana gli occhi e mi fa un sorrisone. Ivan imbarazzato mi fa notare che non se lo aspettava da una donna occidentale, che non siamo sulla spiaggia e nei villaggi dell’interno non sono abituati.
Comunque, fatto sta che abbiamo mangiato tre piatti di pesce buonissimo cotto alla griglia come già ci era successo a Ponda, che abbiamo bevuto alcool e che abbiamo pagato 700 rupie in due, poco più di otto euro. Ve lo consiglio assolutamente, ma specificate che non volete salse o il pesce saprà di qualcos’altro.
Come raggiungere Chandor.
Chandor ha la sua stazione dei treni che è collegata con Margao, così come Margao è l’ultima fermata degli autobus da Mapusa, Panjim e Vasco de Gama. Da qui poi serve un taxi.
Dalla stazione, la piazza centrale con la chiesa e la casa Braganza disteranno circa tre chilometri.
E’ più comodo affittare un taxi perché ho visto un solo rickshaw in un’intera giornata trascorsa qui ed un piccolo autobus locale che gira per il villaggio ma senza orari precisi.