Cronaca di una visita dal ginecologo Indiano.
Sono andata dal ginecologo Indiano per la prima volta nella mia vita. Giusto per una visita di controllo, la faccio tutti gli anni quindi non volevo saltarla. Dopo consultazioni con amiche, scelgo lo studio privato di una dottoressa a Mapusa che lavora anche al Vision Hospital, uno degli ospedali migliori della zona.
Chiamo per prendere un appuntamento e la segretaria mi ripete per ben tre volte che “the Doctor is a men” , il ginecologo è un uomo e di andare al Vision.
Chiedo aiuto ad Alisha, una delle vicine, Goana ed assistente segreta nella missione salvataggio cani del residence. Alisha cucina delle robe così prelibate che deve sempre specificare che sono per loro e non per me 🙂
Comunque riesce a fissare l’appuntamento con il ginecologo e ne prende uno anche per lei, dato che non ha mai fatto una visita nonostante abbia 25 anni e conviva da tre. Ma tutti credono siano sposati, sia chiaro. E per ben tre volte si fa confermare che “the Doctor is a woman”. Il ginecologo è una donna.
Segue briefing durate il quale le spiego come si svolge la visita, i piedi nelle staffe, il campione da prelevare per il pap test, racconto che la sconvolge non poco ma apro una parentesi a scanso di equivoci. Tutte le mie amiche indiane vanno regolarmente dal ginecologo, lei è cresciuta in un collegio cattolico seguita solo da suore e da una nonna anziana quindi non sapeva a chi chiedere e con chi parlarne.
Il giorno della visita ci avventuriamo sotto la pioggia per raggiungere lo studio che è già pieno di coppie che aspettano con in mano pile di fogli. Leggo che è specializzata in fertilità.
Certo non siamo né a Delhi né a Mumbai, Mapusa è un piccolo paese e lo studio si trova all’interno di una fatiscente palazzina vicino al mercato locale, ma l’interno è nuovissimo e pulito.
Tocca aspettare un pò, distraggo Alisha e quando viene il mio turno, la segretaria mi intima di andare in bagno a lavarmi.
Gli indiani hanno una vera e propria ossessione per la pulizia personale, che segue rituali precisi anche negli slum.
Mi infilo in un bagno sprovvisto di carta, salviette o qualsiasi cosa possa servire ad asciugarsi. E mo che faccio?
Lascio scorrere l’acqua, rifletto, la chiudo. Sono arrivata allo studio direttamente da casa, doccia appena fatta, decido di fingere.
La dottoressa è scrupolosa, mi pesa, controlla la pressione, ausculta il cuore, mi fa molte domande e mi prescrive integratori in accordo con l’età.
Poi mi visita e toh, non ci sono le staffe, devo dirlo ad Alisha, poco male si fa lo stesso.
Una cosa mi lascia perplessa però. Devo insistere per il Pap test, continua a chiedermi se ne ho veramente bisogno. Inizio un monologo sulla prevenzione e per zittirmi preleva il campione, anche se la posizione non è delle più comode.
Poi entra Alisha, esce ed ha anche lei la faccia perplessa. Perché non ha voluto farle il test, nonostante glielo abbia chiesto più volte. Le ha detto che è giovane e sana, non ne ha bisogno.
Io pago 13 euro, lei 5. Dalle dodici alle quindici volte meno che in Italia.
Non mi do pace. La sera lo racconto ad Ivan e viene fuori che mancano le campagne di prevenzione perché mancano i fondi. Che ci hanno provato nelle grandi città ma che hanno dovuto interromperle, Pap test e mammografia costano.
La medicina locale è veramente all’avanguardia. Io vado serenamente ovunque, dentista, dermatologo ma la cosa più sorprendente sono i farmacisti. Diagnosticano e risolvono tutte le cose più comuni in due o tre giorni.
Così ho fatto delle ricerche online al riguardo ed ho letto un bellissimo articolo su cancerinindia.org.in intitolato “The secrecy and shame around Woman’s cancers”. Ne è venuto fuori che il cancro all’utero ed al seno sono tutt’ora argomenti tabù in India perché compromettono gli organi riproduttivi. Pare addirittura che una donna abbia più difficoltà a sposarsi se la madre ha contratto la malattia.
Un medico del reparto oncologico del Tata Memorial Hospital di Mumbai ha raccontato che sono pochissimi i familiari dei pazienti che vengono in visita perché l’ospedale stesso è un tabù.
Quasi inesistenti i gruppi di supporto che tanto aiutano non solo dal punto di vista psicologico ma anche in termini di praticità e conoscenza del problema. Ho l’impressione che la strada per una corretta prevenzione “al femminile” sia ancora molto lunga da percorrere.