Diari di Goa – Divar Island parte 1
E’ da un pò che penso di andare a Divar Island, ma poi rimando per pigrizia. L’idea di andare a Panjim con lo scooter ed il dover cercare Ribandar, il posto da dove partono i traghetti per le isole, già mi stanca.
Qualche giorno fa è arrivata la mia amica Adriana, dopo avere trascorso due mesi in un ashram a Mysore. Mi ha subito comunicato che non aveva voglia di vedere turisti e l’idea di andare a Divar Island mi è tornata in mente.

Cartello di benvenuto all’approdo
Il suo entusiasmo mi convince del fatto che è la scelta giusta. Così vado a prenderla in scooter alla sua guesthouse e, mentre la aspetto, Joseph del mini market mi mostra la prima pagina del giornale locale “Sciopero dei minatori a Panjim, massicce proteste previste per oggi, inibiti gli accessi alla città”. Bene.
Siamo in India, suvvia, non sarà così grave. Troveremo una soluzione.
Invece lo sciopero dei minatori è una roba seria, perché la Corte Suprema Indiana ha deciso di chiudere tutte le cave di minerali, considerate illegali e nocive per la salute. Dall’altro lato davano lavoro a migliaia di persone che non saranno mai riqualificate. Quindi provate ad immaginare il malcontento.
Solo che io non lo sapevo e quindi cuffie, google map, si và. Peccato che già a Mapusa internet mi abbandona. Poco male, fino a Panjim ci so arrivare. Il ponte per l’accesso in città è sempre trafficato, all’inizio non ci faccio molto caso e mi infilo tra le macchine per superarle. Poi mi rendo conto che non si muovono proprio e molte invertono la marcia.
Alla fine del ponte c’è una rotatoria, so che devo girare a sinistra ma non c’è un buco per muoversi. Decine di poliziotti presidiano la zona. Cavolo, allora è una roba seria. Ma siamo in India, eh? Infatti un ragazzo in moto mi fa cenno di seguirlo. Ci infiliamo letteralmente dentro la giungla, c’è una sorta di sentiero tracciato, e sbuchiamo dall’altra parte del posto di blocco.
E ci vedono. I minatori ci vedono, due ragazze bianche in moto che escono dalla giungla. Strada a sinistra vuota, a destra loro. Ci vengono incontro minacciosi urlando “Stop”, con delle pietre in mano che ci lanciano addosso. E all’improvviso si risvegliano gli spettatori disseminati sui marciapiedi, che ci coprono dicendo “Fast ladies, fast” e ci lasciano scappare a tutta velocità verso il traghetto per Divar Island.
Internet torna a funzionare, prima rotatoria a destra verso Ribandar. Impresa titanica dato che l’ingorgo creato dallo sciopero impedisce di attraversare ma tant’è che dopo un pò riusciamo a passare e ci troviamo su una strada che taglia il fiume Mondovì in due, una passerella sull’acqua costeggiata da mangrovie. E che è noto come il Ponte di Linhares, all’epoca della costruzione il più lungo d’Asia.
Ribandar è davvero carina, non ne avevo idea. Pulita, ordinata, belle case curate e poco traffico. Le indicazioni per il ferry dicono a sinistra, mi metto in fila, mentre salgo chiedo conferma al marinaio “Divar Island?” “No, Chorao Island, Divar è il prossimo approdo, più avanti”. Ah. Torno indietro facendo lamentare tutti.
Non so se avete mai preso un traghetto in India, la gente sale e scende contemporaneamente prima ancora che si sia fermato del tutto. E’ un movimento fluido e veloce, non puoi interromperlo, li mandi in tilt.
Esattamente come non puoi tentennare quando attraversi una strada, devi andare e basta. Troveranno il modo di non investirti. Che poi è esattamente quello che succede a Palermo, quindi per me è stato facile adeguarmi.
Riprendiamo la strada principale in cerca del secondo approdo, fa un caldo infernale con il casco. Adriana non è obbligata ad indossarlo dato che è passeggero e se la gode. La sera, al rientro, scopriremo di esserci ustionate. Io mani ed avambracci, lei spalle e schiena.
Sono qui da Novembre, davvero non me l’aspettavo. Io sono quella che ridacchia quando vedo le indiane con i guanti e le maniche lunghe. Ecco. Ben mi sta, era ovvio che c’era un motivo.
Finalmente troviamo il secondo approdo, St. Pedro, mi assicuro che sia per Divar Island e ci imbarchiamo. Il traghetto è stranamente semi vuoto, la traversata dura circa dieci minuti. I mezzi a due ruote si imbarcano gratis, a quattro ruote pagano circa venti rupie.

Traghetto per Divar
Si paga a bordo, non esiste una biglietteria o un servizio informazioni. I marinai mi informano che il primo traghetto parte da Ribandar alle sei e trenta del mattino, l’ultimo da Divar Island a mezzanotte e quarantacinque.
Fanno la spola ininterrottamente quindi ogni quindici minuti ne arriva uno. Approdiamo sull’isola , non c’è nulla a parte un cartello di benvenuto ed un piccolo spazio dove sono parcheggiati gli scooter dei pendolari.
Non c’è anima viva, nessuno a cui chiedere un’informazione. Ma davanti a noi si apre una lunghissima strada con il manto stradale in perfette condizioni. Felici come due bimbe, non so perché l’adrenalina sale di botto e ci lanciamo letteralmente alla scoperta di Divar Island.
Nel prossimo post vi racconterò meglio dell’isola.