Diari di Goa – Isola di Chorao parte 1
Ho tentato di visitare l’ isola di Chorao da Divar e non ci sono riuscita. Non ci sono riuscita perché non c’è un traghetto che le collega direttamente. Da Divar nord bisogna prendere un traghetto che la collega con la terraferma e da lì, prendere la Bicholim road ed arrivare all’ isola di Chorao attraversando un ponte.
Io ho preferito tornare a Panjim, dirigermi verso Ribandar e prendere il ferry da lì. Me la prendo comoda, arrivo a mezzogiorno passato e stavolta non ci sono minatori in sciopero ad attentare alla mia vita. Vi dirò di più, nonostante i quaranta gradi ho indossato una felpa a maniche lunghe, il ricordo dell’ustione dell’altra volta è ancora vivo.
Di nuovo, la traversata è veloce ed è gratuita per persone e mezzi a due ruote. Pagano solo le macchine. All’approdo c’è una certa confusione, l’ isola di Chorao è la più grande delle 17 isole sul fiume Mandovì.
In lingua Konkani si chiama Chodan o Chodna Island, gli abitanti sono i Chodankars. I primi abitanti dell’isola di Chorao erano di casta bramina, e tanto impressionarono i colonizzatori portoghesi da erigerla ad Isola della Nobiltà.
Una leggenda racconta che le isole sul fiume Mandovì emersero dopo che Yashoda, la madre di Shiva, lanciò i suoi gioielli in acqua.
Appena arrivati all’approdo, a sinistra c’è subito l’ingresso per il Dr Salim Ali Bird Sanctuary, a destra una serie di piccoli negozi che qui vengono chiamati stall, dove si può mangiare, bere un ottimo chai o comprare bevande analcoliche. Vi sconsiglio di mangiare qui.
All’ufficio informazioni del Bird Sanctuary mi suggeriscono di tornare poco prima del tramonto, per potere vedere gli uccelli. Torno indietro e percorro la strada principale fino al villaggio.
Templi induisti e chiese cattoliche mi sembrano distribuiti in egual numero, eppure avevo letto che i portoghesi anche qui li avevano distrutti quasi tutti. Invece noto più Tulsi Kund davanti le abitazioni che croci. Il Tulsi Kund è il basamento induista per la pianta di Tulsi.
E noto molti cani affamati. Chi mi conosce sa che giro sempre con biscotti per cani con vitamine integrate. Ne punto una, magrissima, assetata e spaventata. Spezzo i biscotti e li metto per terra, esce un tipo da un bar e mi chiede conto e ragione. Mi dice che il cane è suo, mi chiede se le sto dando medicine.
Ma come fai a dire che è il tuo cane? L’hai vista? Non si regge in piedi! Gli mostro la scatola, gli spiego cosa c’è dentro e me ne vado perché già mi pulsa la vena e prevedo violento battibecco. Mi raccomando, poi andate tutti al tempio o in chiesa a pregare, eh?
E noto anche scene molto strane, come questa nel balcone di una casa in costruzione. Il fantoccio serve a tenere lontani gli spiriti maligni e a mettere paura ad eventuali ladri. Con me ha funzionato.
A destra e sinistra, ogni tanto si aprono complessi residenziali con villette a schiera colorate, tutte uguali, tra file di ville portoghesi che hanno avuto tempi migliori.
Mi fermo davanti una bellissima chiesa, Our Lady of Grace, nel villaggio di Maddel. Un ragazzo sta montando un banchetto con dolci e ci mettiamo a chiacchierare. Io vorrei arrivare fino in cima alla collina, dove pare ci sia una statua del Cristo e già pregusto il panorama.
Lui mi spiega che se proseguo dritto finisco sulla Bichelim road e da lì posso prendere un traghetto per Divar o per l’isola Vanxim. Se giro a sinistra e seguo la strada per la chiesa di St Bartholomew, posso arrampicarmi fino alla statua.
Ma come fai ad avere piani in India? Non imparo mai.
La chiesa di St. Bartholomew, eretta dai gesuiti nel 1569, mi regala una vista mozzafiato. Peccato che è chiusa e che non c’è anima viva, neanche un prete da interrogare. In compenso c’è un fresco niente male, vale la pena fare una sosta.
Da qui vedo la cima della collina, con lo scooter percorro la strada parallela alla chiesa che però si interrompe all’improvviso. Tre moto parcheggiate. Un sentiero fittissimo tracciato nella giungla. Rifletto.
Perché ragazzi, non ho le scarpe chiuse e quelle tre moto mi danno da pensare. Sono in mezzo al nulla. Nessuno sa dove sono. E poi l’India si ricorda che mi vuole bene e lo fa materializzando all’improvviso un pescatore, in collina, con tanto di sacchetto di vongole appena pescate.
Anish si presenta e mi guarda stupito. Mi dice che ha sessantadue anni, che ha lavorato sempre all’estero, che adesso è in pensione e si gode la sua isola con la moglie. E’ cattolico, mi mostra orgoglioso una fede luccicante.
Apre il sacchetto con le vongole e me ne regala un pò, così “puoi fare il Garam masala”, dice. Sorvoliamo sul fatto che non saprei nemmeno da dove cominciare, non me la sento di dire la verità.
Poi mi chiede che cosa faccio lì.
- “Voglio andare su a vedere il Cristo”
- “Devi tornare con tuo marito, non puoi andare da sola”
- “Perchè?”
- “Vedi queste moto? Non so di chi siano, magari sono tre turisti ubriachi. Se ti violentano come ti aiutiamo da qui giù?”
Per tutti i poliziotti del mondo, a scanso di equivoci, sappiate che indosso un Salwar Kameez, abito tradizionale indiano. Già immagino la prima domanda: cosa indossava la vittima?
Forse è proprio per questo che Anish si è fermato e si è preoccupato per me, o forse no. Forse si sarebbe preoccupato di più se fossi stata in tenuta da spiaggia. Poco importa l’abbigliamento quando incontri uomini con il cervello a Groviera.
Non sono andata a vedere il Cristo, né il panorama magnifico che mi aspettava. Pare che da lassù si riesca a vedere anche Old Goa e tutta Panjim. Con il magone sia chiaro, ma so riconoscere i segni del destino. Con la coda tra le gambe torno indietro, due cani cercano di sbranarmi lungo la strada, sono quasi più veloci del mio scooter ma desistono dopo poco.
Sono tornata a Chorao dopo sei mesi insieme ad un gruppo di amici. Ci siamo arrampicati con stecche di bambù per evitare i serpenti. Non c’è nessun Cristo lassù, nè panorama mozzafiato perchè la vegetazione è così fitta da impedire la visuale. C’è solo una piccola croce bianca con una teca sotto che racchiude un’immagine della Madonna. Non ne vale la pena.
Ho fame, sono le quattro e nemmeno me ne ero resa conto. Non so cosa mi spinge a tornare a Maddel, alla chiesa di Our Lady of Grace, e a notare la traversa sulla sinistra. Per strada è pieno di bar e ristoranti locali ma non ero convinta.
Appena svolto, noto una deliziosa casa portoghese con la scritta “Lafayette Rest and Bar”. Cavolo, è chiusa, ed il cane in giardino appena mi vede dà di matto. Proseguo, altro ristorante, sembra aperto. Ci sono quattro uomini seduti che giocano a carte, bevono Feni e che mi suggeriscono di mangiare da Fatima, al Lafayette.
- “Ma è chiuso”
- “No madame, non chiude mai, deve bussare”
E’ destino di nuovo, devo andare da Fatima, che nel frattempo, svegliata dal cane, è al cancello che mi aspetta. Sostiene che il suo cane le ha comunicato che c’è una straniera per la strada.
Così ho conosciuto Fatima. Ora, la storia è che lei aspettava una sua amica Russa da Panjim. E credeva che la straniera fosse lei. Ma è stata ben contenta di cucinare per me. Capite perché amo l’India? Perché è sempre così, nemmeno mi stupisco più.
Il ristorante di Fatima è pulitissimo, puoi mangiare all’interno sotto grandi ventilatori a soffitto o in giardino. Fatima è vedova, cattolica, ha due figli che lavorano ad Abu Dabhi, ed un cane che non smette di abbaiare perché non mi ha mai vista prima. Da qui parte una conversazione interminabile sulla condizione della donna in alcuni paesi Arabi, in India ed in Europa. Nel frattempo, cucina per me Chicken Caffrael con riso ed insalata.
Restiamo a scambiarci confidenze per un’ora e, per inciso, devo dire che il cibo è ottimo e che sembra di essere a casa di una zia che mi coccola. La casa è molto grande, ha anche della stanze che affitta ai turisti e la struttura è molto ben tenuta.
Purtroppo la devo lasciare con la promessa di tornare a trovarla, voglio trascorrere il tramonto al Dr Salim Ali Bird Sanctuary e si sta facendo tardi.
Ve lo racconto nel prossimo post.